La storia culturale del Novecento è segnata dallo sviluppo di relazioni interculturali (con l’emergere di un rinnovato fascino dell’Oriente, di cui costituiscono una spia significativa il successo dei libri di Tiziamo Terzani e la inquieta ricerca spirituale di Franco Battiato) e dall’avvio del dialogo tra le Chiese cristiane e le religioni orientali, che, dopo il contributo determinante di Gandhi e di figure a lui legate (come Lanza del Vasto, al quale è stato dedicato un convegno di studi tenuto a Bologna il 18 novembre scorso), si è intensificato dopo il Vaticano II. Il dialogo tra Occidente cristiano e spiritualità indiana si è sviluppato a diversi livelli: da quello culturale (con la ricezione in Occidente della teoria e della pratica della “non violenza” di matrice gandhiana) a quello teologico (mediante un ripensamento delle categorie teologiche proprie della tradizione cristiana greco-latina e posttridentina e vari tentativi, talora arditi, di inculturazione della fede cristiana in un contesto assai diverso) ed infine spirituale, con l’assunzione in ambito cristiano di forme orientali di meditazione (come lo yoga) ed un approfondito confronto tra le esperienze monastiche dei due mondi.
Ricollegandosi alla ricerca spirituale dell’abate Monchanin (1895-1957), che aveva cercato di «incarnare il cristianesimo secondo il modo di vivere, la preghiera e la contemplazione della cultura indiana», il monaco benedettino Henri Le Saux (1910-1973), giunto in India nel 1948, incontrò il mistico indiano Sri Ramana Maharashi ed assunse il nome indiano di Abhishiktananda, cercando insistentemente punti di contatto tra l'antica tradizione monastica indiana e la tradizione dei padri cristiani del deserto da un lato e l'odierna ricerca di nuove forme di vita religiosa dall'altro, nella convinzione che solo un contemplativo può comprendere l'interiorità di un'altra tradizione spirituale. Insieme a Monchanin egli fondò l'ashram (monastero) cristiano contemplativo di Shantivanam («Bosco della pace»), assumendo anche l'abito dei sannyãsi (asceti) indiani e sperimentando il «discendere nelle profondità di se stesso» e l’ Adavaita, ossia la mistica della non-dualità; successivamernte condusse vita eremitica, sperimentando il pellegrinaggio sull’Himalaya, ove si ritirò definitivamente nel 1968, affidando la comunità di Shantivanam al camaldolese Bede Griffiths (1906-1993), che attrasse altri monaci occidentali in India. Le Saux diede un importante contributo al processo di indianizzazione della liturgia, partecipando nel 1969 al «Seminario nazionale della chiesa d'India» di Bangalore. Egli ha saputo unire in sé i due mondi, vivendo una doppia esperienza per servire da ponte tra di essi: un’operazione non priva di tensioni, in quanto «il pericolo di vivere come ponte consiste nel fatto che si rischia di appartenere ad una parte, mentre si deve appartenere in tutto e per tutto ad ambedue le parti, per quanto possa essere difficile. Ciò è possibile soltanto nel mistero di Dio». Con ciò egli ha mostrato l’insufficienza di un confronto puramente intellettuale che non implichi un incontro vivo di esperienze, «nella cavità del cuore», e ha testimoniato che è possibile vivere in profondità la spiritualità dell’Oriente senza rinnegare le proprie radici cristiane.
Le Saux ha osservato che «siamo troppo abituati a considerare il Cristo come possesso di una parte dell'umanità, cioè i cristiani, ed a pensare che l'incontro con il maestro di Nazareth possa avvenire solo per la strada che noi abbiamo percorso. Abbiamo dimenticato che Gesù era un ebreo e che erano ebrei i suoi primi compagni; abbiamo dimenticato che la strada verso il Signore dalla cultura giudaica è passata a quella greca e poi a quella latina e quindi può passare attraverso altre culture, altri uomini e altre esperienze». Da parte sua il teologo Panikkar (1918-2010), nato da padre indiano e indù e da madre catalana e cattolica, ha proposto, contro ogni tentazione monista, il modello «pluralista» di Babele, paradigma di un atteggiamento di apertura verso le altre culture, contro ogni tentazione omologatrice; ed ha posto un interrogativo radicale: per essere cristiani bisogna essere spiritualmente semiti e intellettualmente greci? La risposta non è facile né scontata.
Su questi temi ci confronteremo sabato 18 febbraio alle ore 17,30 a palazzo Ducale, in un incontro pubblico organizzato dal MEIC e dalla Consulta Diocesana Aggregazioni Laicali. Interverranno don Achille Rossi, parroco a Città di Castello e redattore della Rivista «L’Altrapagina», strettamente legato all’esperienza di Panikkar, e Paolo Trianni, autore di pubblicazioni su Il monachesimo non cristiano, Seregno 2008, e su Henri Le Saux (Svami Abhisiktananda). Un incontro con l’India, Milano, Jaca Book, 2011, e curatore, insieme ad A. Drago, di un volume su La filosofia di Lanza del Vasto: un ponte tra Occidente e Oriente, Milano 2009.
Riteniamo che un ascolto reciproco tra diverse esperienze religiose ed un dialogo in profondità, condotto con grande rispetto ma evitando i rischi del relativismo e del sincretismo, possano portare grandi frutti spirituali ed indicare a persone in ricerca una strada diversa rispetto a quell’atteggiamento di esotismo (talora un po’ superficiale) che ha caratterizzato nei decenni passati certi viaggi in India di giovani delusi dalla povertà spirituale della nostra società. La conoscenza dell’altro da noi può forse aiutarci a riscoprire le radici più autentiche e profonde della nostra tradizione spirituale.