lunedì 21 maggio 2012

Mal di Chiesa: i cattolici oggi tra disagio e speranze


L’inaugurazione del  concilio Vaticano II, di cui ricorderemo quest’anno il cinquantenario, rappresentò certamente un momento di grande apertura edi speranza  per i credenti  ed anche per persone in ricerca. Col tempo purtroppo la memoria di quella nuova “primavera della Chiesa” (che mons. Bartoletti innestò, pur tra notevoli difficoltà, anche nella nostra Chiesa di Lucca) si è purtroppo affievolita; e negli ultimi tempi, dopo l’entusiasmo dei primi anni di pontificato di Giovanni Paolo II, si è diffusa, anche tra i cattolici praticanti, una sensazione di disagio di fronte ad un apparato ecclesiastico spesso percepito (a torto o a ragione) come impermeabile  al soffio dello Spirito ed alle esigenze spirituali, magari un po’ disordinate ed anarchiche, di tante persone.  Ciò che è entrato in crisi è soprattutto il senso di appartenenza alla Chiesa: accanto all’atteggiamento religioso riassumibile nella formula “fai da te” si sono moltiplicate correnti ecclesiali spesso in forte conflitto tra loro, tanto da far pensare alla frase polemica di Paolo “io sono di Paolo, io di Cefa… e io di Cristo!”. Gruppi rumorosi di cattolici tradizionalisti si affannano sui blog per convincerci che tutti i mali presenti della Chiesa derivano dall’ottimismo (giudicato ingenuo) del Vaticano II ; altri gruppi vedono invece la soluzione dei problemi soprattutto in alcune riforme di struttura (come l’abolizione del celibato ecclesiastico) e nell’allentamento deri vincoli disciplinari e dottrinali, e per favorire un rinnovato dialogo tra Chiesa e cultura moderna propongono l’abbandono di formule dogmatiche e pastorali giudicate ormai inadeguate.
Questa esasperazione delle polemiche tra credenti (che, pronti a “divorarsi a vicenda”, sembrano dimenticarsi di avere come fondamento lo stesso Cristo) si è accentuata con l’esplodere di alcuni scandali all’interno della Chiesa, come quello della pedofilia ed anche alcuni scandali finanziari, che hanno prodotto in molti credenti la spiacevole sensazione di essere semplici spettatori di un sistema gestito da un vertice non sempre trasparente. Nonostante l’impegno teologico e pastorale di Benedetto XVI, non sempre vescovi e parroci sono riusciti a spiegare ai semplici fedeli il vero significato di certe decisioni  (come la revoca della scomunica ai lefevriani) ed a trovare il linguaggio adatto per tornare a parlare di Dio all’uomo d’oggi, al di là degli appuntamenti tradizionali e  dell’astrattezza di certi documenti e programmi pastorali in sé anche apprezzabili. Di fronte a questa sensazione di crisi, un giornalista non certo ostile alla Chiesa, anzi molto vicino a Giovanni Paolo II e già direttore dell’”Osservatore romano”, Gianfranco Svdercoschi, ha deciso di non chiudere gli occhi e di cercare di comprendere le ragioni di un disagio che, se non affrontato in modo adeguato, rischia di allontanare dalla Chiesa (e forse dalla stessa fede) molte persone. Per troppo tempo fenomeni scandalosi (come la pedofilia e l’uso spregiudicato del denaro) sono stati sottovalutati e anche  tollerati, in quanto la preoccupazione di salvaguardare il buon nome dell’istituzione è prevalsa rispetto all’esigenza di ifendere le vittime: ma oggi, osserva Svidercoschi, i cristiani non sono più disposti ad accettare con atteggiamento remissivo i comportamenti immorali di uomini di Chiesa che si sono consacrati al Signore.

Non ha certo giovato un ritorno, in questi ultimi anni, a forme di gestione “clericale” della vita comunitaria: l’idea conciliare di Chiesa “popolo di Dio” è stata un po’ accantonata, e troppi ecclesiastici decidono da soli, come se i laici fossero di nuovo un semplice oggetto della pastorale.   Occorre quindi recuperare uno spirito di “parresìa” all’interno della Chiesa, rendendo anche i laici compartecipi di una riflessione sulle scelte da compiere; e passare da una pastorale troppo incentrata sui “grandi eventi” e su figure carismatiche alla costruzione di percorsi formativi e spirituali che coinvolgano i credenti nella loro vita quotidiana ed anche nel servizio ecclesiale.  Inoltre la Chiesa troppo spesso mostra un volto arcigno nei confronti di chi non riesce ad essere all’altezza della vocazione cristiana (con qualche indulgenza di troppo nei confronti dei potenti): sarebbe probabilmente più utile rinunciare a condanne sbrigative e mostrare in positivo la bellezza del camminare nella fede e nell’amore incondizionato. Accanto alle parole dei documenti, per quanto veritiere, sembra necessario porre dei gesti significativi, che rendano ad esempio più credibili, con la testimonianza personale, i richiami teorici alla sobrietà ed all’opzione preferenziale per i poveri, superando “una certa reticenza a trattare dell’uso del denaro tra i cristiani” .
In una delle pagine più belle del libro, Svidercoschi osserva che il papa ha saputo parlare di Dio alle folle in occasione di alcuni viaggi apostolici; ma si chiede: “a questi giovani già così dubbiosi, così scettici, la Chiesa saprà dare delle risposte che riescano a catturarli o almeno a interessarli?... Quanti membri della Chiesa gerarchica sanno prendere per mano le donne e gli uomini che cercano di sentire la voce di Dio nella babele del mondo contemporaneo?” Ad esempio gli aspetti innovativi (come la rivalutazione dell’amore coniugale e della sessualità) dell’enciclica “Deus caritas est”  avrebbero dovuto tradursi in iniziative capaci di farli recepire nella realtà delle parrocchie; ma queste ultime sembrano troppo spesso limitarsi alla routine, per cui le riflessioni più alte del magistero non arrivano alla base.

Infine l’autore auspica, come alternativa ad un continuo rincorrere le emergenze (che colloca la Chiesa sulla difensiva), “una riforma che vada alle radici dei problemi ecclesiali”: essa presuppone un confronto serio e franco tra credenti, mossi dall’amore per la Chiesas e da una grande passione per un rinnovato annuncio del Vangelo all’uomo d’oggi.
Per confrontarci con l’autore su questi temi vi invitiamo a partecipare alla presentazione del volume Mal di Chiesa (Roma, Cooper, 2011), che si terrà venerdì 25 maggio, ore 17,30, a palazzo Ducale, per iniziativa congiunta dell’Ufficio diocesano per la cultura e del MEIC.

Raffaele Savigni