giovedì 1 novembre 2012

I giovani e il Concilio


Lorenzo Banducci (nella prima parte) e Niccolò Bonetti (nella seconda) danno una testimonianza del Concilio oggi durante un' iniziativa organizzata dall'Azione Cattolica, svoltasi l’ 11 ottobre 2012 presso l'Oratorio San Giovanni Bosco a Viareggio, che ricordava i 50 anni dall'apertura del Concilio Vaticano II

Ammetto di essere quantomeno rimasto stupito, in senso positivo, quando ho saputo che nell’iniziativa di oggi qua a Viareggio vi sarebbe stata la possibilità per un giovane di raccontare il concilio “oggi”. Io ho avuto la fortuna di studiare per conto mio e grazie alle associazioni di cui faccio parte (l’Azione Cattolica e gli universitari cattolici della FUCI) quali siano stati i cambiamenti introdotti in quei meravigliosi anni di una nuova primavera della Chiesa, altrimenti ne saprei davvero pochissimo. 
Più che soffermarmi sulle innovazioni di natura ecclesiologica, teologica, liturgica ecc. vorrei invece incentrare questo intervento su qualche aspetto sia positivo, che negativo che è emerso dal Concilio ai nostri giorni per provare a vedere che cosa dobbiamo riprendere in mano nell’ottica del futuro.

Il concilio ci ha consegnato (e lo ha consegnato in particolare a noi giovani con quel meraviglioso messaggio di Paolo VI ai giovani del 7 dicembre 1965, testo che invito tutti a riprendere in mano), dicevo il concilio ci ha consegnato:

La possibilità di vedere una chiesa viva capace di interrogarsi sui problemi del mondo e sul suo modo di farsi conoscere e aprirsi a tutti (non credenti, altri cristiani, fedeli di altre religioni).
Un messaggio di speranza che si trova ben incastonato nel discorso di apertura del Concilio di Giovanni XXIII. Quella speranza che non ci fa vedere tutto intorno a noi come “sbagliato” o “da buttare”, ma che ci fa dire che ci sono degli aspetti positivi da valorizzare e per i quali vale la pena combattere.
Un nuovo linguaggio di apertura verso tutti, disposto ad ascoltare, a comprendere, ad includere e ad avvicinare. Un linguaggio che come cristiani dobbiamo mettere costantemente al centro della nostra vita, nel rapporto con gli altri, nella scuola, nel lavoro, nell’università, nella rete. Essere cristiano presuppone innanzitutto un tipo di stile che ci faccia diventare un esempio per la società. Diceva Aldo Moro: “Lo spirito del tempo consiglia a noi cattolici piuttosto di testimoniare i nostri valori con il comportamento, anziche' pretendere di imporli con la legge”. In questa frase dell’ex presidente nazionale della FUCI ed ex presidente della Democrazia Cristiana sta anche uno dei significati del cambiamento post-conciliare.

Resta dunque una domanda che come giovane non posso non pormi davanti a queste incredibili novità presentate dal Concilio. Com’è possibile che la Chiesa pur avendo introdotto così tante novità in quegli anni poi ne abbia saputo far tesoro così poco con i giovani che incontra nelle parrocchie e che compiono il cammino dei Sacramenti? La Chiesa con il Concilio ha solo saputo arginare la deriva dello “tsunami della secolarizzazione”, come anche in questi giorni lo ha definito durante il Sinodo dei Vescovi l’arcivescovo di Washington Cardinale Wuerl (usando peraltro un linguaggio che mi ha ricordato quello dei “profeti di sventura” contro i quali si era scagliato Giovanni XXIII). Arginare tale deriva, ma non interrogarsi in profondità su essa e sulle sue cause. Si è verificata la crescente difficoltà di presentare quanto sia bello vivere la vita da Cristiani facendo proprio il messaggio di Gesù e si è preferito ricorrere ad approcci più identitari e di arroccamento più facili da seguire, senza dubbio, ma che ci hanno fatto perdere la bussola su ciò che davvero era la base per evangelizzare, ovvero la centralità delle relazioni umane e dei legami, nonché l’ascolto profondo e attento del mondo.
______________________________________

"Non si converte, infatti, se non quello che si ama: se il Cristiano non è in completa simpatia col mondo nascente, se egli non prova in sé stesso le aspirazioni e le ansietà del mondo moderno, se non lascia crescere nel suo essere il senso dell'umano, egli non realizzerà mai la sintesi liberatrice tra la terra e il cielo da cui può nascere la manifestazione ultima del Cristo universale. Ma egli continuerà a ingannarci e a condannare quasi indistintamente ogni novità, senza discernere, tra le sporcizie e i mali, gli sforzi sacri di una nascita. Immergersi, per emergere e sollevarsi. Partecipare per sublimare. Questa è la legge stessa dell'Incarnazione. Un giorno, già mille anni fa, i Papi, dicendo addio al mondo romano, si decisero di « passare ai Barbari ».Un gesto simile, e più profondo, non è atteso anche oggi?Penso che il Mondo non si convertirà alle speranze celesti del Cristianesimo se prima il Cristianesimo non si converte (per divinizzarle) alle speranze della Terra”.


Cosi' scriveva il gesuita Theilard de Chardin molti decenni prima dell'evento conciliare.
Io credo che la grandezza del Concilio non siano state le sue riforme o le sue aperture ma il radicale riposizionamento della Chiesa nei confronti nel mondo.
E' stata una rivoluzione spirituale prima che teologico o ecclesiologica.
La Chiesa torna ad essere solidale con la storia degli uomini,vuole penetrare profondamente nella temporalità e nella storicità del vissuto dell'uomo contemporaneo per trovare in esso e non fuori di esso una via per giungere a Dio.
Non si tratta più di rinnegare il mondo,fuggire il secolo,distaccarsi dalla propria epoca per trovare Dio ma al contrario l'incontro con Dio non può che avvenire,per lo meno nel nostro tempo,in tutto ciò che venti secoli di cristiani avevano ritenuto “occasione prossima di peccato”.
La realtà mondana in tutti i suoi pericoli,le sue ambiguità,i suoi gridi soffocati al cielo,i suoi tormenti,i suoi angosciosi dubbi diventa il luogo per eccellenza in cui Dio ci comunica la Sua Grazia e in cui sperimentiamo il nostro essere Chiesa.
Il mondo è un sacramento e una benedizione.
Solo se riusciremo ad incarnarci nel nostro tempo e a condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi,abbandonando ogni pregiudizio e ogni distacco,potremo essere annunciatori credibili dell'annuncio cristiano.


sabato 2 giugno 2012

Convegno Diocesano: Crisi della società, crisi dei cristiani?

ORIZZONTE E IDENTITÀ DEI CONVEGNI DI GIUGNO

Il convegno di giugno è un appuntamento qualificato e costituisce un momento di riflessione che vuole mettere a confronto il vangelo e la vita offrendo ai partecipanti stimoli per la loro riflessione. Il lavoro si svolge in due serate e prevede tre momenti: anzitutto si mette a fuoco il tema attraverso una relazione, segue un approfondimento-confronto dei partecipanti in gruppi su temi più specifici e nel secondo giorno si ha un rilancio propositivo con una riflessione e discussione in assemblea.

Negli ultimi due anni i convegni hanno cercato di stimolare la riflessione attraverso una domanda:

2010: Con Dio o senza Dio che cambia?

Lo stimolo era offerto dal confronto tra Enzo Bianchi e Flores D’Arcais e si approfondiva nei gruppi su vari ambiti di vita (rapporto con i beni, con la sofferenza e la morte, il lavoro, l’affettività e la sessualità, la convivenza sociale)

 2011: Dio è credibile?

La domanda ha posto l’attenzione sull’oggetto della fede: Dio viene creduto a partire dalle immagini che ci si fa di Lui. Lo stimolo critico è stato dato da Francesco Cosentino; nel secondo giorno il teologo Maurizio Gronchi ha concentrato l’attenzione su Gesù che nel suo agire e parlare ha mostrato un Dio che sorprende e va oltre le immagini che anche i credenti si fanno (e talvolta rendono Dio non credibile).


2012: Crisi della società, crisi dei cristiani?

Dopo aver posto l’attenzione su Dio il convegno prossimo pone l’attenzione sull’altro polo dell’esperienza di fede, il credente. Quando si parla di fede il discorso non può essere astratto perché la risposta di fede è di una umanità che vive in un contesto preciso che è dato da crisi, non solo economica, che stiamo attraversando. Il Convegno vuole dunque far riflettere su come stare da cristiani in tempo di crisi.

Il titolo contiene due elementi, società e cristiani che stanno dentro la crisi. Vogliamo comprendere la crisi nelle sue molteplici forme, ma anche nelle sue cause, nelle dinamiche, nell’incidenza che ha sul nostro territorio; vogliamo anche accogliere le domande che la crisi pone e cercare di scorgere come starci dentro in uno stile di vita che apre alla speranza.


SVOLGIMENTO


Lunedì 18 giugno

- ore 18.30: preghiera
- ore 19.00: dalle crisi alle opportunità: intervento, in assemblea a più voci per comprendere la crisi del nostro tempo: nel lavoro, nell’economia, nella convivenza sociale – individuando fatti, dinamiche e responsabilità, anche in riferimento al nostro territorio – cercando di intravedere prospettive di cambiamento. Relatori: Giulio Sensi, Lorenzo Maraviglia, Raffaello Martini.
- ore 20.30: Spostamento nelle sedi dei gruppi
- ore 20.45: gruppi tematici per l’approfondimento su quattro ambiti trattati in assemblea: lavoro, politica, economia, convivenza

Martedì 19 giugno

- ore 18.30: Preghiera
- ore 19.00: stare nella crisi da cristiani: relazione del giornalista Luigi Accattoli e discussione in assemblea
- ore 20.00: Interventi in assemblea e conclusione

lunedì 21 maggio 2012

Mal di Chiesa: i cattolici oggi tra disagio e speranze


L’inaugurazione del  concilio Vaticano II, di cui ricorderemo quest’anno il cinquantenario, rappresentò certamente un momento di grande apertura edi speranza  per i credenti  ed anche per persone in ricerca. Col tempo purtroppo la memoria di quella nuova “primavera della Chiesa” (che mons. Bartoletti innestò, pur tra notevoli difficoltà, anche nella nostra Chiesa di Lucca) si è purtroppo affievolita; e negli ultimi tempi, dopo l’entusiasmo dei primi anni di pontificato di Giovanni Paolo II, si è diffusa, anche tra i cattolici praticanti, una sensazione di disagio di fronte ad un apparato ecclesiastico spesso percepito (a torto o a ragione) come impermeabile  al soffio dello Spirito ed alle esigenze spirituali, magari un po’ disordinate ed anarchiche, di tante persone.  Ciò che è entrato in crisi è soprattutto il senso di appartenenza alla Chiesa: accanto all’atteggiamento religioso riassumibile nella formula “fai da te” si sono moltiplicate correnti ecclesiali spesso in forte conflitto tra loro, tanto da far pensare alla frase polemica di Paolo “io sono di Paolo, io di Cefa… e io di Cristo!”. Gruppi rumorosi di cattolici tradizionalisti si affannano sui blog per convincerci che tutti i mali presenti della Chiesa derivano dall’ottimismo (giudicato ingenuo) del Vaticano II ; altri gruppi vedono invece la soluzione dei problemi soprattutto in alcune riforme di struttura (come l’abolizione del celibato ecclesiastico) e nell’allentamento deri vincoli disciplinari e dottrinali, e per favorire un rinnovato dialogo tra Chiesa e cultura moderna propongono l’abbandono di formule dogmatiche e pastorali giudicate ormai inadeguate.
Questa esasperazione delle polemiche tra credenti (che, pronti a “divorarsi a vicenda”, sembrano dimenticarsi di avere come fondamento lo stesso Cristo) si è accentuata con l’esplodere di alcuni scandali all’interno della Chiesa, come quello della pedofilia ed anche alcuni scandali finanziari, che hanno prodotto in molti credenti la spiacevole sensazione di essere semplici spettatori di un sistema gestito da un vertice non sempre trasparente. Nonostante l’impegno teologico e pastorale di Benedetto XVI, non sempre vescovi e parroci sono riusciti a spiegare ai semplici fedeli il vero significato di certe decisioni  (come la revoca della scomunica ai lefevriani) ed a trovare il linguaggio adatto per tornare a parlare di Dio all’uomo d’oggi, al di là degli appuntamenti tradizionali e  dell’astrattezza di certi documenti e programmi pastorali in sé anche apprezzabili. Di fronte a questa sensazione di crisi, un giornalista non certo ostile alla Chiesa, anzi molto vicino a Giovanni Paolo II e già direttore dell’”Osservatore romano”, Gianfranco Svdercoschi, ha deciso di non chiudere gli occhi e di cercare di comprendere le ragioni di un disagio che, se non affrontato in modo adeguato, rischia di allontanare dalla Chiesa (e forse dalla stessa fede) molte persone. Per troppo tempo fenomeni scandalosi (come la pedofilia e l’uso spregiudicato del denaro) sono stati sottovalutati e anche  tollerati, in quanto la preoccupazione di salvaguardare il buon nome dell’istituzione è prevalsa rispetto all’esigenza di ifendere le vittime: ma oggi, osserva Svidercoschi, i cristiani non sono più disposti ad accettare con atteggiamento remissivo i comportamenti immorali di uomini di Chiesa che si sono consacrati al Signore.

Non ha certo giovato un ritorno, in questi ultimi anni, a forme di gestione “clericale” della vita comunitaria: l’idea conciliare di Chiesa “popolo di Dio” è stata un po’ accantonata, e troppi ecclesiastici decidono da soli, come se i laici fossero di nuovo un semplice oggetto della pastorale.   Occorre quindi recuperare uno spirito di “parresìa” all’interno della Chiesa, rendendo anche i laici compartecipi di una riflessione sulle scelte da compiere; e passare da una pastorale troppo incentrata sui “grandi eventi” e su figure carismatiche alla costruzione di percorsi formativi e spirituali che coinvolgano i credenti nella loro vita quotidiana ed anche nel servizio ecclesiale.  Inoltre la Chiesa troppo spesso mostra un volto arcigno nei confronti di chi non riesce ad essere all’altezza della vocazione cristiana (con qualche indulgenza di troppo nei confronti dei potenti): sarebbe probabilmente più utile rinunciare a condanne sbrigative e mostrare in positivo la bellezza del camminare nella fede e nell’amore incondizionato. Accanto alle parole dei documenti, per quanto veritiere, sembra necessario porre dei gesti significativi, che rendano ad esempio più credibili, con la testimonianza personale, i richiami teorici alla sobrietà ed all’opzione preferenziale per i poveri, superando “una certa reticenza a trattare dell’uso del denaro tra i cristiani” .
In una delle pagine più belle del libro, Svidercoschi osserva che il papa ha saputo parlare di Dio alle folle in occasione di alcuni viaggi apostolici; ma si chiede: “a questi giovani già così dubbiosi, così scettici, la Chiesa saprà dare delle risposte che riescano a catturarli o almeno a interessarli?... Quanti membri della Chiesa gerarchica sanno prendere per mano le donne e gli uomini che cercano di sentire la voce di Dio nella babele del mondo contemporaneo?” Ad esempio gli aspetti innovativi (come la rivalutazione dell’amore coniugale e della sessualità) dell’enciclica “Deus caritas est”  avrebbero dovuto tradursi in iniziative capaci di farli recepire nella realtà delle parrocchie; ma queste ultime sembrano troppo spesso limitarsi alla routine, per cui le riflessioni più alte del magistero non arrivano alla base.

Infine l’autore auspica, come alternativa ad un continuo rincorrere le emergenze (che colloca la Chiesa sulla difensiva), “una riforma che vada alle radici dei problemi ecclesiali”: essa presuppone un confronto serio e franco tra credenti, mossi dall’amore per la Chiesas e da una grande passione per un rinnovato annuncio del Vangelo all’uomo d’oggi.
Per confrontarci con l’autore su questi temi vi invitiamo a partecipare alla presentazione del volume Mal di Chiesa (Roma, Cooper, 2011), che si terrà venerdì 25 maggio, ore 17,30, a palazzo Ducale, per iniziativa congiunta dell’Ufficio diocesano per la cultura e del MEIC.

Raffaele Savigni

domenica 25 marzo 2012

La stagione del laicato organizzato non è finita

Nel suo contributo pubblicato su “Toscana oggi” il 25 marzo Pietro De Marco liquida sbrigativamente la stagione del laicato organizzato, riconducendola in modo decisamente riduttivo all’ispirazione dossettiana e giudicando inadeguata la risposta da essa fornita, con la “scelta religiosa”, alla crisi del ’68 ed alla secolarizzazione della società italiana negli anni ‘70. Mi pare una valutazione non solo ingenerosa nei confronti della grande passione per la Chiesa e per l’uomo che ha animato l’attività di uomini come Lazzati, Bachelet, Monticone, Casavola, ma anche profondamente sbagliata.
Non mancò, è vero, chi teorizzò in quegli anni (magari richiamandosi a Dossetti) una diaspora non solo politica ma culturale: ma l’Azione cattolica della “scelta religiosa” ed altri movimenti organizzati seppero riproporre in forme nuove un impegno associativo che non metteva affatto tra parentesi l’ispirazione cristiana; e col loro apporto negli anni ’70 la Chiesa italiana seppe  elaborare piani pastorali fondati sulla centralità dell’evangelizzazione. La dottrina sociale della Chiesa trovò oppositori ma non scomparve  affatto, negli anni ’70-80, dall’orizzonte dei cattolici italiani: l’impatto della “Populorum progressio” e delle successive encicliche sulla riflessione di associazioni come l’Azione cattolica e di settori del partito di ispirazione cristiana mi pare innegabile (ricordo tanti incontri dedicati all’impegno dei laici nella società ed ai problemi del Terzo mondo). Mi sembra piuttosto che negli ultimi anni le resistenze al pensiero sociale della Chiesa (da ultimo alla “Caritas in veritate” ed al documento elaborato dalla Commissione pontificia “Iustitia et pax”)  provengano da quel cattolicesimo conservatore (di cui è espressione ad es. Novak) che rinuncia ad ogni forma di critica nei confronti dei poteri economico-finanziari (responsabili della crisi in cui ci troviamo) e prospetta scelte politiche dei cattolici con riferimento pressoché esclusvo ai cosiddetti “principi non negoziabili”.
Il laicato cattolico degli anni ’80 era certamente troppo litigioso al proprio interno, e non si mostrò forse capace di riconoscere tempestivamente la gravità della “questione antropologica”; ma non era affatto “una costellazione disorientata e incontrollabile”. Se da un lato va riconosciuto al card. Ruini il merito di aver sottoposto all’attenzione di tutti la questione antropologica e di aver delineato il Progetto culturale, dall’altro mi sembra che quella stagione della CEI (di cui oggi percepiamo sempre più certi limiti) abbia mortificato, al di là dell’enfatizzazione dei movimenti guidati da leaders carismatici, il protagonismo dei laici e favorito il riemergere di forme di clericalismo, come hanno giustamente denunziato negli ultimi tempi Fulvio De Giorgi, Paola Bignardi, Giorgio Campanini. A questo neoclericalismo si è accompagnato un atteggiamento di acquiescenza  nei confronti del berlusconismo, motivato dalla ricerca di un sostegno politico e legislativo alle “opere” cattoliche ed ai “principi non negoziabili”: al di là di qualche innegabile vantaggio contingente (la legge 40, lo stop a proposte in direzione dell’eutanasia, le agevolazioni fiscali per le attività della Chiesa, di cui non nego affatto la legittimità), ciò ha comportato un affievolimento della tensione morale nella vita politica e la rinuncia di fatto, nelle scelte politiche della maggioranza dei cattolici (non più orientati da associazioni che si muovevano nella linea del Concilio), a quella prospettiva del bene comune che risultava invece centrale nella dottrina sociale della Chiesa, e che non può essere sbrigativamente etichettata come “statalista”.

Certamente un buon politico cattolico deve essere una persona competente, non soltanto un buon cristiano che prega spesso: ma, come ci hanno insegnato Maritain e Lazzati, una forte spiritualità laicale, alimentata da precisi percorsi associativi, è un presupposto imprescindibile per una buona politica che si ispiri al bene comune e non ad interessi particolari o a ideologie estranee; mentre un cattolico isolato viene facilmente risucchiato dalle logiche dei poteri forti.    

La stagione del laicato organizzato non è quindi finita, anche se bisogna continuamente ricalibrarne il pensiero e l’azione in rapporto ai “segni dei tempi”: in un contesto storico segnato da una presa di coscienza sempre più forte dei limiti di una politica per troppo tempo subalterna nei confronti dei grandi poteri economico-finanziari, e di una gestione troppo clericale della Chiesa, i laici cattolici italiani devono ritrovare gli strumenti per far sentire la loro voce nella Chiesa e ricominciare, dopo vent’anni di latitanza che hanno giocato a favore del berlusconismo, ad elaborare una cultura politica cristianamente ispirata (anche se certamente non più proponibile nei termini del “partito unico dei cattolici”). In questa direzione il movimento di cui faccio parte (il MEIC) ha elaborato il “Progetto Camaldoli” per promuovere una nuova maturità del laicato: l’anniversario ormai vicino del “Codice di Camaldoli” non può significare una riproposizione meccanica di un modello di presenza politica almeno in parte anacronistico, ma deve rappresentare l’occasione per ritrovare la tensione spirituale ed etico-politica che animava gli uomini che lo elaborarono.

Raffaele Savigni
Presidente diocesano del MEIC di Lucca  


domenica 11 marzo 2012

Cattolici protagonisti nella Toscana di oggi

UN'AGENDA DI SPERANZA PER IL FUTURO DEL PAESE

Il primo momento, comunitario, di Chiesa toscana sarà il 17 marzo 2012, che recepisce il documento conclusivo della Settimana sociale e celebra l' Eucarestia per rendere grazie a Dio per il dono che riceve per una rinnovata missione, che la chiama ad incarnarsi, assumere e portare le gioie e le speranze, le angosce e le sofferenze della propria gente con la gioia della fede nel Risorto. Un momento di comunione di tutte le Chiese toscane con i loro 19 vescovi, il clero, religiosi/religiose e il laicato cattolico, i consigli pastorali e coinvolgendo tutti i movimenti, le aggregazioni e le associazioni, organizzazioni che sono nati come dono dello Spirito in ordine alla missione e al rinnovamento permanente della Chiesa.

Bibbia e Letteratura: conferenza nella Chiesa S. Cristoforo

L'incontro, promosso dal Centro diocesano per la cultura, Associazione S. Cristoforo e Libreria Ubik, si inserisce a margine della mostra, ospitata nella Chiesa di San Cristoforo a Lucca, dedicata alle incisioni con cui Marc Chagall ha commentato la Bibbia ebraica. La conferenza, tenuta dal prof. Vincenzo Arnone, docente di letteratura e noto saggista, intende presentare innanzitutto la Bibbia come opera letteraria composita e ricca di generi letterari, e in secondo luogo approfondire alcune delle più importanti opere letterarie che hanno per soggetto il testo sacro o qualche personaggio biblico. La Bibbia ebraico/cristiana è unanimamente riconosciuta come uno dei codici culturali dell' Occidente, nonostante questo continua ad essere poco conosciuta e, meno che mai, letta. Per questo motivo l'incontro rappresenta un'importante occasione per riappropriarci di un testo, quello della Bibbia, a cui, in larga misura, la letteratura, l'arte e la storia dell' Occidente sono debitori.

mercoledì 15 febbraio 2012

La Scuola Holden di Torino promuove a Lucca un corso di sceneggiatura nella Casa Associazioni Laicali


Prima collaborazione tra la nota scuola di Baricco, Cescot Confesercenti e Cineforum Ezechiele.

Come si passa dal foglio di carta a una sala buia e piena di gente dove corrono immagini e suoni? Come fanno delle parole a diventare Matrix? Insomma che cosa significa scrivere un film? Cos’è una sceneggiatura e perché si chiama così? Tecnica o estro? Sono queste alcune delle domande a cui proverà di rispondere il corso di base di sceneggiatura promosso a Lucca, a partire da febbraio, dalla Scuola Holden di Torino, la scuola di scrittura fondata da Alessandro Baricco.

Il corso si svolgerà nella nostra città a partire dal mese di febbraio grazie alla collaborazione nata tra la scuola torinese, il Cineforum lucchese Ezechiele 25,17, la Confesercenti di Lucca e la Consulta delle associazioni laicali che ospiterà il corso nella sede di via S. Nicolao. «Si tratta di una opportunità per la nostra città – ha dichiarato il direttore della Confesercenti Emanuele Pasquini – che vogliamo pensare come l’avvio di una collaborazione per il futuro con la prestigiosa scuola di Baricco. Per questo abbiamo ricercato questo primo percorso di sinergia e ci auguriamo che questa prima iniziativa possa essere foriera di nuove e più ampie collaborazioni con il nostro territorio».
«Per noi – ha aggiunto il presidente del Cineforum Ezechiele Maximiliano Dotto – è un ulteriore tassello del nostro modo di intendere il Cineforum, come progetto di visione, ma anche di educazione all’immagine, di animazione culturale, ma anche di sostegno alla formazione. Alcuni di noi hanno in passato avuto occasione di seguire percorsi della Scuola Holden a Torino. Poter offrire ad altri oggi l’opportunità di seguire questi percorsi nella nostra città è un risultato che ci fa molto piacere».

Il corso si svolgerà a febbraio per 20 allievi e sarà articolato in serale con 20 incontri di 2 ore ciascuno a cadenza settimanale. Per iscrizioni e informazioni è possibile rivolgersi alla scuola Holden di Torino alla email info@scuolaholden.itTel. 011 6632812

 «Il corso di Sceneggiatura Cinematografica di base della Scuola Holden – sottolinea il docente Alberto De Magistris - è aperto a tutti e non richiede conoscenze specifiche, se non la voglia di indagare il mondo della narrazione per immagini. Negli anni passati si sono avvicinati al corso semplice appassionati di cinema o di scrittura e persone alla ricerca di una carriera da sceneggiatore. L’obbiettivo è quello di imparare un metodo di scrittura, di capire cos’è una sceneggiatura, di capire come si passa da inchiostro stampato sul foglio a immagini che scorrono sullo schermo, perché per quanto complicato o fantascientifico possa essere un film il primo passo è sempre quello di aprire un computer e battere sui tasti. Il tutto verrà condito dalla visione e dall’analisi di spezzoni di film, per imparare a muoversi nel mondo della messa in scena e a ragionare per immagini mentre si scrive».

giovedì 9 febbraio 2012

Due protagonisti del dialogo interculturale ed interreligioso tra Occidente cristiano e India: Raimon Panikkar e Henri Le Saux

La storia culturale del Novecento è segnata dallo sviluppo di relazioni interculturali (con l’emergere di un rinnovato fascino dell’Oriente, di cui costituiscono una spia significativa il successo dei libri di Tiziamo Terzani e la inquieta ricerca spirituale di Franco Battiato) e dall’avvio del dialogo tra le Chiese cristiane e le religioni orientali, che, dopo il contributo determinante di Gandhi e di figure a lui legate (come Lanza del Vasto, al quale è stato dedicato un convegno di studi tenuto a Bologna il 18 novembre scorso),  si è intensificato dopo il Vaticano II. Il dialogo tra Occidente cristiano e spiritualità indiana si è sviluppato a diversi livelli: da quello culturale (con la ricezione in Occidente della teoria e della pratica della “non violenza” di matrice gandhiana) a quello teologico (mediante un ripensamento delle categorie teologiche proprie della tradizione cristiana greco-latina e posttridentina e vari tentativi, talora arditi, di inculturazione della fede cristiana in un contesto assai diverso) ed infine spirituale, con l’assunzione in ambito cristiano di forme orientali di meditazione (come lo yoga) ed un approfondito confronto tra le esperienze monastiche dei due mondi.

Ricollegandosi alla ricerca spirituale dell’abate Monchanin (1895-1957), che aveva cercato di «incarnare il cristianesimo secondo il modo di vivere, la preghiera e la contemplazione della cultura indiana», il monaco benedettino Henri Le Saux (1910-1973), giunto in India nel 1948,  incontrò il mistico indiano Sri Ramana Maharashi ed assunse il nome indiano di Abhishiktananda, cercando insistentemente punti di contatto tra l'antica tradizione monastica indiana e la tradizione dei padri cristiani del deserto da un lato e l'odierna ricerca di nuove forme di vita religiosa dall'altro, nella convinzione che solo un contemplativo può comprendere l'interiorità di un'altra tradizione spirituale. Insieme a Monchanin egli fondò l'ashram (monastero) cristiano contemplativo di Shantivanam («Bosco della pace»), assumendo anche l'abito dei sannyãsi (asceti) indiani e sperimentando il «discendere nelle profondità di se stesso» e l’ Adavaita, ossia la mistica della non-dualità; successivamernte condusse vita eremitica, sperimentando il pellegrinaggio sull’Himalaya, ove si ritirò definitivamente nel 1968, affidando la comunità di  Shantivanam al camaldolese Bede Griffiths (1906-1993), che attrasse altri monaci occidentali in India. Le Saux diede un importante contributo al processo di indianizzazione della liturgia, partecipando nel 1969 al «Seminario nazionale della chiesa d'India» di Bangalore. Egli ha saputo unire in sé i due mondi, vivendo una doppia esperienza per servire da ponte tra di essi: un’operazione non priva di tensioni, in quanto «il pericolo di vivere come ponte consiste nel fatto che si rischia di appartenere ad una parte, mentre si deve appartenere in tutto e per tutto ad ambedue le parti, per quanto possa essere difficile. Ciò è possibile soltanto nel mistero di Dio». Con ciò egli ha mostrato l’insufficienza di un confronto puramente intellettuale che non implichi un incontro vivo di esperienze, «nella cavità del cuore», e ha testimoniato che è possibile vivere in profondità la spiritualità dell’Oriente senza  rinnegare le proprie radici cristiane.

Le Saux ha osservato che «siamo troppo abituati a considerare il Cristo come possesso di una parte dell'umanità, cioè i cristiani, ed a pensare che l'incontro con il maestro di Nazareth possa avvenire solo per la strada che noi abbiamo percorso. Abbiamo dimenticato che Gesù era un ebreo e che erano ebrei i suoi primi compagni; abbiamo dimenticato che la strada verso il Signore dalla cultura giudaica è passata a quella greca e poi a quella latina e quindi può passare attraverso altre culture, altri uomini e altre esperienze». Da parte sua il teologo Panikkar (1918-2010), nato da padre indiano e indù e da madre catalana e cattolica, ha proposto, contro ogni tentazione monista, il modello «pluralista» di Babele, paradigma di un atteggiamento di apertura verso le altre culture, contro ogni tentazione omologatrice; ed ha posto un interrogativo radicale: per essere cristiani bisogna essere spiritualmente semiti e intellettualmente greci?  La risposta non è facile né scontata.

Su questi temi ci confronteremo sabato 18 febbraio alle ore 17,30 a palazzo Ducale, in un incontro pubblico organizzato dal MEIC e dalla Consulta Diocesana Aggregazioni Laicali.  Interverranno don Achille Rossi, parroco a Città di Castello e redattore della Rivista «L’Altrapagina», strettamente  legato all’esperienza di Panikkar, e Paolo Trianni, autore di pubblicazioni su Il monachesimo non cristiano, Seregno 2008, e su Henri Le Saux (Svami Abhisiktananda). Un incontro con l’India, Milano, Jaca Book, 2011, e curatore, insieme ad A. Drago, di un volume su La filosofia di Lanza del Vasto: un ponte tra Occidente e Oriente, Milano 2009.

Riteniamo che un ascolto reciproco tra diverse esperienze religiose ed un dialogo in profondità, condotto con grande rispetto ma evitando i rischi del relativismo e del sincretismo, possano  portare grandi frutti spirituali ed indicare a persone in ricerca una strada diversa rispetto a quell’atteggiamento di esotismo (talora un po’ superficiale) che ha caratterizzato nei decenni passati certi viaggi in India di giovani delusi dalla povertà spirituale della nostra società. La conoscenza dell’altro da noi può forse aiutarci a riscoprire le radici più autentiche e profonde della nostra tradizione spirituale.

sabato 4 febbraio 2012

Associazione Don Franco Baroni e la Giornata del Malato 2012



Il 12, 13 e 14 Febbraio 1998 l’Associazione “Don Franco Baroni” onlus organizzò il convegno nazionale: «A casa è meglio» lanciando concrete proposte di sviluppo delle cure domiciliari in geriatria e oncologia. Sono passati 14 anni e nella nostra società si sono accentuati fenomeni che da una parte accelerano ma dall’altra frenano le attività di assistenza domiciliare. Il concetto sintetizzato nel titolo del convegno del 1998 resta per noi assolutamente valido, ma è anche vero che la casa non è soltanto un luogo fisico e dunque le pareti di un edificio. La casa deve essere accogliente e avere due precisi requisiti: da una parte l’idoneità abitativa dall’altra il consenso all’assistenza domiciliare sia del paziente come della sua famiglia. Ciò potrebbe sembrare facile e anzi scontato perché una famiglia, nell’immaginario collettivo, sa prendersi cura del proprio congiunto malato. In realtà non è così semplice. E’ vero anzi che quando un componente si ammala il nucleo familiare viene sconvolto e profondamente coinvolto nella situazione del congiunto. I nuovi modelli di organizzazione e gestione dei servizi socio-sanitari privilegiano l’assistenza domiciliare rispetto a quella ospedaliera, che in futuro sarà sempre più breve e limitata alla fase acuta delle malattie. Ciò, almeno dal nostro punto di vista, rappresenta un aspetto positivo, perché offre al malato notevoli benefici psicologici, ottenendo anche per le strutture sanitarie una riduzione dei costi. Ma il rischio è che si finisca con lo scaricare sulla famiglia molte e complesse problematiche dovute anche all’insufficienza delle strutture territoriali. Insomma la famiglia viene caricata di onerosi fardelli a livello assistenziale ed economico che portano ad affrontare momenti molto faticosi. Malattie terminali e disabilità degli anziani sono in continuo aumento e sono aggravate dalla solitudine della vedovanza, dalla distanza dai figli che lavorano o dall’unica presenza dei figli unici. Vivere con un anziano non autosufficiente determina inoltre un peggioramento psico-relazionale tanto dell’individuo quanto della famiglia. Ciò avviene in un contesto, sociale e storico, che vede la famiglia attraversata da una crisi senza precedenti. E’ sempre più evidente la fragilità strutturale della famiglia che la rende spesso incapace di reagire alle difficoltà e alle sofferenze della vita. Separazioni, divorzi e convivenze sono in aumento e complicano ulteriormente il problema. Ecco perché l’Associazione “Don Franco Baroni” onlus lancia l’attenzione sul tema della famiglia e sulla sua capacità di accogliere il malato. Se vogliamo sviluppare le forme di assistenza domiciliare dobbiamo irrobustire la famiglia. Enti pubblici e Associazioni di Volontariato come la nostra devono estendere l’attenzione e la cura anche alle famiglie dei malati, instaurando rapporti umani ed affettivi. E’ indispensabile questo sostegno morale alla famiglia perché possa superare il giustificato sconforto. Un accompagnamento premuroso, che richiede periodiche visite a domicilio per aiutare la famiglia a scoprire, nella dolorosa stagione della sofferenza, preziosi valori umani e spirituali. D’altra parte l’assistenza domiciliare, per quanto con il supporto di sempre più preparate équipe curanti e con l’appoggio di autentici e motivati volontari (dunque di persone non pagate ma mosse soltanto da ragioni di solidarietà), costituisce per la famiglia un impegno assai rilevante che si fa via via più intenso con il progredire della malattia, fino a richiedere ai familiari di abbandonare il proprio lavoro e il proprio ruolo nella società. Ecco perché noi sosteniamo che le famiglie hanno bisogno anche di una dote economica che le aiuti a gestire al loro interno le malattie degenerative, critiche e complesse. Soltanto così – per la nostra visione di vita – si potranno prevenire le derive crudeli e disumane nei confronti della vita nella sua fase terminale.

giovedì 26 gennaio 2012

S. Francesco di Sales, patrono dei giornalisti in tempi difficili



A osservare da vicino l’epoca in cui san Francesco di Sales (1567-1622) condusse la sua missione di “pastore senza gregge” e con il compito quasi irrealizzabile di preservare gli abitanti della Savoia dall’influenza protestante, non si fa molta fatica a riconoscervi un tempo di sovvertimento radicale, non molto diverso, nelle sue caratteristiche di fondo, da quello che stiamo oggi vivendo. Allora, si trattava di prendere le misure di un’Europa che si scopriva definitivamente ferita a causa della riforma protestante. Oggi, si tratta di imparare a vivere nel cuore di una trasformazione senza precedenti, della quale conosciamo a grandi linee le origini, ma di cui ci sfugge irrimediabilmente l’esito finale. Dopo tutto, la domanda, ieri come oggi, non è cambiata: è possibile essere cristiani in questo crogiuolo di profonda ridefinizione di tutte le coordinate umane e spirituali? E che tipo di cristianesimo ci è richiesto? E se la risposta di san Francesco di Sales potrebbe sembrarci del tutto in linea con la rigida reazione che la Chiesa cattolica mise a punto nel Concilio di Trento, a ben guardare, la sua esemplare testimonianza cristiana contiene già in nuce i tratti di un cristianesimo dinamico e non più così legato a determinate forme e consuetudini fissatesi nel tempo. Un cristianesimo, per dirlo con Giovanni XXIII, aperto all’aggiornamento e già in ascolto dell’appello delle coscienze personali, nelle quali risuona la vera voce di Dio. Ce ne danno una prova eloquente le parole con le quali san Francesco di Sales descrive uno dei concetti apparentemente più tradizionali dell’esperienza cristiana, quello di devozione, e che gli fu assai caro tanto da essere l’autore della celebre Introduzione alla vita devota (1609). Nella sua prospettiva, in verità, la devozione poco ha a che fare con quello che noi ne pensiamo: essa sarebbe, per molti di noi, poco più che quell’atteggiamento “devoto” con il quale le persone si accostano al mondo della fede, l’essere pii e rispettosi, sensibili ma in modo tale da rimanere sostanzialmente spettatori estranei alla vita di Dio. Il Vescovo di Ginevra, invece, definisce così la devozione: «La virtù della devozione non è altro che una generale inclinazione e prontezza dello spirito a fare quello che sa che è gradito a Dio; è la dilatazione del cuore della quale Davide diceva: Ho corso sulla via dei tuoi comandamenti quando mi hai dilatato il cuore. Coloro che sono semplicemente persone dabbene, camminano sulla via di Dio, ma i devoti corrono e, quando sono molto devoti, volano» (i corsivi sono nostri). La vera esperienza cristiana, insomma, non coincide affatto con la custodia dello statu quo o con la conservazione di una qualche innocua mediocrità o presunta perfezione raggiunta una volta per tutte. Ha a che fare con la prontezza di spirito, con la dilatazione del cuore, non con lo stare immobili e neppure con il semplice camminare, ma con il correre, se non addirittura con il volare. E sono proprio queste le caratteristiche indispensabili anche per essere cristiani in un mondo postcristiano. Alla crisi in atto, in altre parole – e questo vale non meno per i giornalisti cristiani, che riconoscono in san Francesco di Sales il loro patrono –, non si può rispondere che incarnando sempre più e sempre meglio le virtù evangeliche, con uno stile di vita sobrio e dinamico, disinteressato e libero, coerente e solidale, franco e accogliente. È così che si vola e che si riesce davvero – proprio come Francesco di Sales nei suoi tempi difficili – a guardare un po’ al di là delle nostre paure, diventando convinti e convincenti testimoni di speranza.

don Alessandro Andreini, consulente ecclesiastico Ucsi Toscana

domenica 8 gennaio 2012

Villa del Seminario - Casa Diocesana "E. Bartoletti" riapre le porte!



E’ con grande piacere che vi portiamo a conoscenza che la Casa Diocesana di Arliano ha da mesi riaperto ed è pronta ad accogliere qualunque evento salvaguardando l’ormai consolidata vocazione originale di accoglienza spirituale. La Diocesi, ormai da tempo, aveva a cuore la sua riapertura, ed un gruppo di persone legate al Centro Missionario Diocesano decide di rendersi disponibile per la gestione.  Dopo vari incontri e consulenze è stato deciso in accordo con la Diocesi di fondare una s.r.l.  per gestire la casa: così nasce Oltre srl. . La priorità è continuare a far funzionare la struttura in modo da essere uno dei luoghi più importanti e significativi per l’incontro e la formazione spirituale nella nostra Diocesi. Come successivamente riportato  in una sintesi della convenzione tra la società e l’Arcidiocesi, quest’ultima detiene il diritto di seguire gli operati della società nei confronti della Casa Diocesana. L’ Arcidiocesi dà mandato a Oltre srl di gestire l’ opera “Casa Diocesana Enrico Bartoletti” nel rispetto dei principi spirituali e morali della Chiesa cattolica espressi nelle direttive dell’ Arcidiocesi. Ne rimane l’ispiratrice prima del progetto e come tale opera un’azione di indirizzo e controllo rispetto ai contenuti dell’opera “Casa Diocesana Enrico Bartoletti”. In una tale ottica, l’Arcidiocesi si riserva il diritto di verificare il corretto funzionamento dell’opera ed in particolare la gestione del servizio da parte di Oltre srl che ne è affidataria.  Per l’attuazione di quanto stabilito verrà istituito un Comitato di Indirizzo dell’opera, a cui Oltre srl dovrà fornire al termine di ogni anno una relazione sull’andamento “Casa Diocesana Enrico Bartoletti”, nonché il bilancio relativo alla gestione del servizio. La Diocesi autorizza il cambio di destinazione d’uso da “Casa per ferie” ad “albergo”in modo da essere a tutti gli effetti una struttura ricettiva aperta ad  accogliere qualsiasi tipo di clientela, dal turista a colui che deve organizzare momenti di incontro e formativi,  al pellegrino e a tutti quelli che hanno sempre conosciuto la struttura e usufruito dei servizi offerti. La società Oltre srl si impegna a gestire la struttura in modo corretto, a non stravolgere gli obiettivi  primari per cui la casa fino ad ora è stata gestita. Accogliere le iniziative dell’Arcidiocesi, ed ogni altro evento proposto da parrocchie, movimenti, e gruppi di ispirazione cristiana. Prevede di accogliere: eventi, dibattiti, seminari, corsi e convegni residenziali e non, che abbiano come  obiettivo il miglioramento della qualità di vita attraverso la formazione cristiana, spirituale e culturale in genere. Attività museali, allestimento di mostre temporanee e/o permanenti, spettacoli a carattere religioso e culturale. Inoltre la Società ha nel suo statuto l’impegno di devolvere parte degli utili a progetti di cooperazione internazionale legati alla Diocesi di Lucca. 
 La denominazione completa della “casa di Arliano”  è : “Villa del Seminario – Casa Diocesana Enrico Bartoletti”:
Villa del Seminario” è il nome con cui la struttura era conosciuta, quello che troviamo  nelle planimetrie catastali, ma ancora di più indica l’uso che la Diocesi ne ha fatto dalla  prima metà dell’800  fino alla seconda metà del 900;  da quando la struttura fu ceduta al Seminario Arcivescovile il 10 gennaio 1829.  Era stata volontà dell’Arcivescovo Giuseppe de Nobili  che il Seminario possedesse una  residenza adibita a luogo di riposo dei seminaristi. Quando il Demanio alla fine dell’800 requisì la villa e la mise all’incanto, Mons. G. Arrigoni volle subito riacquistarla affinché il Seminario non si privasse di tale bene.
Casa Diocesana” indica la nuova  vocazione che Mons. Bartoletti  ha voluto e che tutti conosciamo. Il ricordo dell’impegno e della dedizione delle  “Piccole Apostole di Cristo Re” nel gestirla.
E. Bartoletti” sottolinea il ricordo ed il ringraziamento che tutta la comunità diocesana con i suoi ultimi pastori dà a questa grande figura della nostra chiesa.
In questa casa possiamo scorgere parte del cammino della nostra chiesa negli ultimi due secoli.
Come sapete la struttura dispone di 36 camere, camere triple e per famiglie, disposte su tre piani che guardano sul chiostro rinascimentale, sul cortile soleggiato o sulla piana di Lucca. Dispone di sale per incontri da 10, 30 e 80 posti a sedere ed un salone per con una capienza di circa 80 posti al tavolo. Villa del Seminario mette a disposizione anche un'ampia cappella, interamente ristrutturata, che può opsitare fino a 90 persone.  Sia per ritiri giornalieri che per soggiorni con pernottamento, “Villa del Seminario - Casa Diocesana E. Bartoletti” offre la possibilità di organizzare anche i relativi pasti.
Certi di poter avere, un giorno, la possibilità di avervi nostri ospiti, rimaniamo a Vostra completa disposizione e soprattutto vi invitiamo a contattarci per qualsiasi necessità o richiesta.

Villa del Seminario - Casa Diocesana E. Bartoletti per Oltre Srl
Via della Chiesa, 427/M  55100 Arliano - LUCCA
Tel: 0583 368691 Fax: 0583 549933

sabato 7 gennaio 2012

Intervento Segretario Consulta sul Tirreno "Liberalizzare rispettando l'uomo"

Bene, don Franco! Una presa di posizione netta in merito alla norma che prevede orari liberi, annullamento delle fasce orarie prestabilite, riposi infrasettimanali, chiusure festive e domenicali. In generale, sul tema delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni - necessarie ma fatte bene - , il governo si gioca molto del credito che ha avuto inizialmente dal mondo cattolico, perché o si ha il coraggio di smantellare le corporazioni, oppure è difficile fare le riforme. Detto questo, sul tema specifico della liberalizzazione degli orari, questi non si devono liberalizzare o, quantomeno, non vanno liberalizzati solo gli orari. Si devono liberalizzare le licenze perché, altrimenti, si favorisce sempre chi è già protetto, ossia le corporazioni. E si favoriscono anche le rendite. Questo vale per i taxi, per le farmacie e per il mercato del lavoro in generale. Si rischia di creare un grande equivoco: si fa passare per liberalizzazione un favore che si fa esclusivamente alla grande commercializzazione, che ha già le licenze. C’è sicuramente un grande equivoco: non si riesce ancora a resistere al peso delle grandi lobbies. E questo, oggettivamente, ci lascia un po’ l’amaro in bocca su tanti temi, perché sono stati fatti tanti annunci ai quali, però, sono poi seguite tante frenate. Non c’è dubbio che si vive in un mondo globalizzato, non c’è dubbio che c’è bisogno anche della grande distribuzione, ma se non riusciamo a trovare un equilibrio, i posti di lavoro invece di favorirli si faranno diminuire: si rischia di mandare in frantumi tanti piccoli negozi che sono fonte di guadagno per tante famiglie e che rappresentano la tradizione e le tradizioni più sane del nostro paese.  La questione riguarda la stessa definizione di cittadino-consumatore, che pure ha il merito di porsi come un soggetto umano al centro dell’azione governativa. Parlando di liberalizzazioni, non ci si può limitare al cittadino-consumatore e ai suoi diritti: occorre considerare l’uomo  nella sua completezza e nel suo contesto, e quindi anche il cittadino-lavoratore. Ogni processo di liberalizzazione non può esimersi dal tener conto delle reti relazionali in cui si trovano immerse le persone e quando si parla di libertà di accesso o di libertà “senza tempo” (magari al di là del tempo), questa non può essere per l’individuo concepito solo, ma per l’individuo colto nella sua complessità relazionale che lo rende persona, non monade individualistica. La questione di fondo è antropologica: il fine ultimo del lavoro è l’uomo e la sua realizzazione come persona, dell’approfondimento delle relazioni tra gli uomini e con il creato.  A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia verità che l’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è “per l’uomo” e non l’uomo per il lavoro. Non c’è dubbio. Liberalizzare la giornata lavorativa domenicale ci trova decisamente contrari. Lo dico anche da laico, perché la domenica è il giorno del riposo, è la giornata dedicata alla famiglia, ai figli e alla riscoperta della dimensione creaturale. Non si può sgretolare costantemente e perennemente questo giorno, farne un luogo di espropriazione dell’identità (e persino della dignità) umana. E’ chiaro poi che, per noi cattolici, c’è una ragione in più per difendere la domenica come giorno del Signore. Ma è una battaglia che dobbiamo fare da laici, in senso generale. E come Segretario della Consulta diocesana di aggregazioni laicali stiamo promuovendo con le associazioni direttamente coinvolte nell’ambito professionale una forte sensibilizzazione per continuare questa battaglia di civiltà e di umanità.
(Il Tirreno del 7 gennaio 2012)