sabato 7 gennaio 2012

Intervento Segretario Consulta sul Tirreno "Liberalizzare rispettando l'uomo"

Bene, don Franco! Una presa di posizione netta in merito alla norma che prevede orari liberi, annullamento delle fasce orarie prestabilite, riposi infrasettimanali, chiusure festive e domenicali. In generale, sul tema delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni - necessarie ma fatte bene - , il governo si gioca molto del credito che ha avuto inizialmente dal mondo cattolico, perché o si ha il coraggio di smantellare le corporazioni, oppure è difficile fare le riforme. Detto questo, sul tema specifico della liberalizzazione degli orari, questi non si devono liberalizzare o, quantomeno, non vanno liberalizzati solo gli orari. Si devono liberalizzare le licenze perché, altrimenti, si favorisce sempre chi è già protetto, ossia le corporazioni. E si favoriscono anche le rendite. Questo vale per i taxi, per le farmacie e per il mercato del lavoro in generale. Si rischia di creare un grande equivoco: si fa passare per liberalizzazione un favore che si fa esclusivamente alla grande commercializzazione, che ha già le licenze. C’è sicuramente un grande equivoco: non si riesce ancora a resistere al peso delle grandi lobbies. E questo, oggettivamente, ci lascia un po’ l’amaro in bocca su tanti temi, perché sono stati fatti tanti annunci ai quali, però, sono poi seguite tante frenate. Non c’è dubbio che si vive in un mondo globalizzato, non c’è dubbio che c’è bisogno anche della grande distribuzione, ma se non riusciamo a trovare un equilibrio, i posti di lavoro invece di favorirli si faranno diminuire: si rischia di mandare in frantumi tanti piccoli negozi che sono fonte di guadagno per tante famiglie e che rappresentano la tradizione e le tradizioni più sane del nostro paese.  La questione riguarda la stessa definizione di cittadino-consumatore, che pure ha il merito di porsi come un soggetto umano al centro dell’azione governativa. Parlando di liberalizzazioni, non ci si può limitare al cittadino-consumatore e ai suoi diritti: occorre considerare l’uomo  nella sua completezza e nel suo contesto, e quindi anche il cittadino-lavoratore. Ogni processo di liberalizzazione non può esimersi dal tener conto delle reti relazionali in cui si trovano immerse le persone e quando si parla di libertà di accesso o di libertà “senza tempo” (magari al di là del tempo), questa non può essere per l’individuo concepito solo, ma per l’individuo colto nella sua complessità relazionale che lo rende persona, non monade individualistica. La questione di fondo è antropologica: il fine ultimo del lavoro è l’uomo e la sua realizzazione come persona, dell’approfondimento delle relazioni tra gli uomini e con il creato.  A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia verità che l’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è “per l’uomo” e non l’uomo per il lavoro. Non c’è dubbio. Liberalizzare la giornata lavorativa domenicale ci trova decisamente contrari. Lo dico anche da laico, perché la domenica è il giorno del riposo, è la giornata dedicata alla famiglia, ai figli e alla riscoperta della dimensione creaturale. Non si può sgretolare costantemente e perennemente questo giorno, farne un luogo di espropriazione dell’identità (e persino della dignità) umana. E’ chiaro poi che, per noi cattolici, c’è una ragione in più per difendere la domenica come giorno del Signore. Ma è una battaglia che dobbiamo fare da laici, in senso generale. E come Segretario della Consulta diocesana di aggregazioni laicali stiamo promuovendo con le associazioni direttamente coinvolte nell’ambito professionale una forte sensibilizzazione per continuare questa battaglia di civiltà e di umanità.
(Il Tirreno del 7 gennaio 2012)

1 commento:

  1. Personalmente ho una posizione più sfumata e meno negativa. Credo che si debbano difendere (riproponendoli con un linguaggio adeguato nell'attuale contesto socioculturale) il senso cristiano della domenica ed i diritti dei lavoratori. Non tutto il tempo è mercificabile: accanto al tempo del lavoro, dei mercati, esiste il tempo della festa, della gratuità, del riposo. Ma credo altresì che si debbano tenere nella giusta considerazione le esigenze di razionalizzazione che ispirano le liberalizzazioni: la liberalizzazione delle professioni è a mio avviso necessaria (ad esempio non si capisce perché un laureato con 110 e lode in farmacia non possa aprire una farmacia solo in quanto suo padre non possiede una farmacia, mentre il figlio di un farmacista ha il posto assicurato se si laurea col minimo). Inoltre un commerciante che lo desidera deve poter stabilire liberamente gli orari di apertura e chiusura del suo negozio. Non condivido pertanto, nei toni e nel merito, l'ostilità radicale nei confronti delle liberalizzazioni espressa da don Cerri e dal Presidente della Toscana Enrico Rossi. Occorre quindi distinguere, senza posizioni ideologiche preconcette.

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